samedi 15 juin 2013

LA GRANDE BELLEZZA, tra amore ed odio

Quando un'opera produce giudizi contrastanti è sempre un buon segno: ciò che ha carattere si ama oppure si destesta. 
Mi sono sorbita una ventina di recensioni iperdotte. Questi spiedini di tecnicismi avvolti nel fumo dell'autocompiacimento critico sono davvero indigesti. Parliamo chiaro.
La Grande bellezza è un film sulla decadenza di una società alto borghese annoiata e schiava dell'immagine, di cui fa parte un fantomatico giornalista, scrittore e cultore della mondanità alla ricerca della perfezione estetica, interpretato in modo impeccabile da Toni Servillo. La pellicola parla attraverso immagini sublimi intrecciate ad una musica dello stesso tenore che le esalta e le completa.  
Alcune tra le accuse principali della critica: il regista non è stato minimamente all'altezza della tradizione felliniana alla quale vorrebbe rifarsi ed è stato poco realista, il film appare pretenzioso ed a tratti misogino.
Mi chiedo cosa significhi essere all'altezza di un modello o conformarsi ad un modello. Me lo chiedo perchè sembra che assumere, più o meno consciamemte, un grande come fonte d'ispirazione implichi il misurarsi con esso in una sorta di tenzone al di fuori del tempo. Non è così che funziona. Il modello, qualunque sia la sua levatura, infonde uno stimolo, porta una suggestione, ma l'arte sta poi nella capacità di emanciparsi da esso, portando l'ispirazione a contatto con il proprio mondo, ed il mondo di Sorrentino non è quello di Fellini. Il paragone quindi è del tutto fuori luogo.

 
Realismo? Ma quando mai Sorrentino è stato realista? Qualsiasi romano, o qualsiasi italiano che ami Roma, ha riconosciuto la natura caricaturale dei personaggi e delle situazioni del film.
Un defilé di clowns tristi, di pseudo-artisti annoiati, stanchi, disfatti, usciti da un quadro di Toulouse-Lautrec. 
Iperbole, caricatura, umorismo sono espedienti da secoli efficacemente usati per dipingere e per comunicare la tristezza della condizione umana. Perchè Sorrentino avrebbe dovuto girare un documentario sulla società romana? Tra l'altro nè lui nè Contarello sono romani. Quanto alla mancanza di realismo, ammetto dunque di non comprendere dove stia il reato.
Misoginia. Eccolo! Il grande jolly, la carta che si sfodera quando uno non ha veramente più nient'altro da dire; il discorso sul genere è maledettamente alla moda, perciò non poteva non essere tirato fuori dal cilindro di qualche signora permalosetta. Le donne, le belle donne, non escono certo immacolate e trionfanti, ma nemmeno gli uomini: politici e cardinali corrotti, giovani senza spina dorsale, padri tossicodipendenti, scrittorini da strapazzo. Non ci sono eroi, neppure Gambardella è rappresentato come tale. Jep è un poeta cinico, egoista, vorace di consenso, di successo, invischiato in un'eterna, insoddisfatta ricerca.
Se esistono schiave del silicone, tessistrici di vento, se esistono ricche intellettuali di sinistra ipocrite, vampire femministe, cosa dovremmo fare di tutti questi avvilenti prodotti del genere femminile? Ignorarli, non farle bersaglio di critica solo perchè sono donne? Questo sarebbe rispetto? No, questo sarebbe non riconoscere che il ridicolo non ha sesso.
La perfezione tecnica è la sola alla quale si possa aspirare, ecco quel che ci dicono le riprese ed i piani geniali del film. Per il resto, ogni espressione della bellezza non che è un barlume, un trucco, una menzogna. Ecco una verità universale che la poesia di tutti i tempi ci ha insegnato e che Sorrentino ha contestualizzato splendidamente nella desolazione del culto dell'immagine moderno. In breve, un film riuscito nel suo intento, un'opera "di grande bellezza" sull'inesistenza del bello assoluto.            
   
     

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